ANNO COSTANTINIANO 313-2013

La libertà religiosa. L’unità dei cristiani. Due «doni» che chiamano le Chiese all’impegno. Ma anzitutto alla preghiera. Insieme. Com’è accadutolo scorso 16 maggio, nella Basilica di Sant’Ambrogio. Il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, e l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, hanno presieduto la celebrazione che ha concluso nel segno della contemplazione e della lode la visita del patriarca, evento culminante dell’Anno Costantiniano indetto dalla Chiesa ambrosiana nel 1700° dell’Editto di Milano.

La liturgia, animata dai canti del Coro bizantino del Conservatorio di Acharnes e della Cappella musicale del Duomo di Milano, si è offerta come dialogo orante, nella scia del dialogo avvenuto la sera prima a Palazzo Reale, dove Bartolomeo e Scola avevano tenuto una lectio a due voci sul tema, d’incandescente attualità, della libertà religiosa. L’Editto di Milano ha posto «le fondamenta di quelli che poi sarebbero divenuti i diritti dell’uomo»; ma «nonostante gli apparenti progressi circa il rispetto dei diritti umani, le persecuzioni contro i cristiani non sono cessate», ha denunciato Bartolomeo I.

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Martedì 28 maggio, al termine dell’incontro in Duomo con l’Arcivescovo, nel tornacoro i parroci ambrosiani presenti o i loro delegati riceveranno una formella commemorativa del 1700° anniversario dell’Editto di Milano.

La formella reca le due date - 313 (anno dell’Editto) e 2013 - e il simbolo del krismòn, composto dalle due lettere chi e ro che simboleggiano il nome di Cristo e formano il segno grafico della croce: come riferisce Eusebio, si tratta dell’emblema che Costantino adottò in occasione della battaglia del ponte Milvio a Roma nel 312 e che si diffuse dopo l’Editto di Milano. L’immagine è già stata utilizzata per il timbro dell’annullo postale realizzato il 15 maggio in occasione della Lectio magistralis tenuta dal cardinale Angelo Scola e dal patriarca Bartolomeo I a Palazzo Reale. L’esposizione curata dal Museo Diocesano nella stessa sede ne ha presentati molti esempi, provenienti da diversi Paesi europei.


“Liberi per credere” è il titolo sintetico scelto per legare tra loro le diverse iniziative che contrassegnano l’Anno Costantiniano. Una variante rispetto alla più nota espressione “Liberi di credere”, il cui significato è finalizzato a leggere l’anniversario in riferimento al valore della libertà religiosa nello spazio pubblico, nel suo spettro più ampio possibile.

Un concetto che Benedetto XVI ha ben sottolineato nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2011. «Quando la libertà religiosa è riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice, e si rafforzano l’ethos e le istituzioni dei popoli - affermava il Pontefice, richiamando la piena attualità dell’insegnamento della Dignitatis Humanae -. Viceversa, quando la libertà religiosa è negata, quando si tenta di impedire di professare la propria religione o la propria fede e di vivere conformemente a esse, si offende la dignità umana e, insieme, si minacciano la giustizia e la pace, le quali si fondano su quel retto ordine sociale costruito alla luce del Sommo Vero e Sommo Bene».

La comunicazione chiara ed efficace di un evento passa necessariamente anche attraverso l’individuazione di un logo, essenziale a contrassegnare i vari eventi e le diverse celebrazioni immaginate. Tenuto conto dello spirito con cui la Chiesa ambrosiana intende vivere l’Anno Costantiniano, il logo scelto per caratterizzare le iniziative legate alla ricorrenza del XVII centenario dell’Editto di Milano è il signum crucis, o Krismon.

Con Costantino il segno della croce subì una radicale trasformazione di significato: da segno infamante di giudizio e condanna per i cristiani, venne trasformato in simbolo del trionfo di Cristo. Superando il rischio che potesse venire asservito alle mire del potere temporale, il signum crucis assunse così un ruolo e un significato pubblici: da una parte come segno di identità dei cristiani, dall’altra come segno del ruolo che il cristianesimo può giocare per contribuire alla costruzione della pace e del bene comune.